martedì 22 settembre 2009

GAL Terre del Nisseno ha superato la prima fase

Noi soci dell'Associazione Giorgio la Pira di Mussomeli, nonché partner del costituendo GAL, abbiamo appreso con vivo piacere che il "GAL Terre del Nisseno" ha superato la prima fase della selezione regionale delle zone Leader.
Il GAL (Gruppo di Azione Locale) avrà il compito di attuare, tramite il Piano di Sviluppo Locale, una strategia di rilancio socio-economico del territorio.
Forza del Gal sarà la capacità di finanziare progetti al livello locale e quindi vicini alle aspirazioni della popolazione. Il "metodo LEADER", a differenza di altri strumenti di sviluppo si caratterizza per essere un processo decisionale inclusivo dove i vari attori della Comunità decidono assieme: è quindi un processo bottom-up.

Si apre ora una fase nevralgica dove nel giro oramai di quaranta giorni il gruppo di progetto deve formulare un Piano delle attività da svolgere. Da tutta la letteratura sul metodo Leader (nota1) si evince che un piano di successo è un piano che "ascolta" la gente e che interpetra le necessità e le aspirazioni delle popolazioni dei territori interessati dal progetto.


L'Associazione Giorgio La Pira di Mussomeli conscia dei tempi ristretti auspica una pronta azione di animazione tra il gruppo di progetto, che fa capo alla Provincia e alla Camera di Commercio, e i soci del GAL.


nota 1:
Un’attività di diagnosi strategica orientata ad un sistema territoriale circoscritto non può prescindere, sia nella fase di analisi che in quella di decisione strategica, dalla raccolta e dal confronto di elementi conoscitivi detenuti esclusivamente dai diversi gruppi di attori locali che operano nell’ambito di quel sistema.
Questa constatazione, che rappresenta il “principio operativo” del bottom-up, è illustrata chiaramente nel metodo del Project Cycle Management (ITAD Ltd, Project Cycle Management Training Courses Handbook, European Commission: EUROPEAID Co-operation Office) che, messo a punto per migliorare la qualità dei progetti di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, ha poi fortemente influenzato il sistema di procedure e raccomandazioni che riguarda tutta la programmazione dei fondi strutturali dell’UE:
“……… una pianificazione corretta deve identificare le reali esigenze dei beneficiari e ciò non può essere possibile senza un’analisi della situazione locale così come viene percepita dai diversi gruppi di attori interessati”.
Si tratta quindi di suscitare la condivisione di informazioni, percezioni, esigenze, visioni e, più in generale, conoscenze implicite ed esplicite per farle diventare “patrimonio di progetto”.
È necessario creare un senso di appartenenza al progetto tra gli attori che saranno mobilitati in fase di implementazione e, in questo, nulla è più efficace del dare evidenza di un uso convinto del bottom-up.
Questo processo, che nelle concezioni meno illuminate viene interpretato come un’attività propagandistica di “costruzione del consenso”, implica in realtà un’evoluta capacità di ascolto ed animazione per compiere il percorso che porta da un primo “allineamento delle visioni” ad una vera progettazione partecipativa delle strategie di intervento.
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martedì 8 settembre 2009

Progetto Leader

Un progetto Europeo, veicolato tramite la regione sta per avviarsi in Sicilia.
Coinvolge le zone rurali.
Ecco come lo spiega l'Unione Europea.
Le zone rurali europee sono estremamente diverse tra loro, sia per quanto riguarda la varietà dei contesti (ambientale, economico, sociale, culturale, politico, istituzionale), sia rispetto alle potenzialità evolutive. A grandi linee, le caratteristiche delle zone rurali abbinano alcuni dei seguenti fenomeni:
> densità demografica relativamente bassa, invecchiamento della popolazione, struttura demografica non equilibrata, esodo dei giovani più qualificati, ecc.;
> importanza più o meno rilevante del settore agricolo, declino dell’occupazione e dell’attività agricola, pressioni sul settore fondiario in funzione della vicinanza alle zone urbane, minacce ambientali più o meno accentuate, ecc.;
> livelli di ricchezza eterogenei, aumento del numero di persone in situazione precaria, maggiore isolamento dovuto alla scomparsa di taluni servizi alle imprese e alle persone, ecc.
Sino agli anni ‘80, le impostazioni in materia di sviluppo rurale erano essenzialmente fondate su una concezione settoriale degli aiuti, con l’applicazione di approcci “discendenti” (ossia basati sul principio del “top-down”, promossi “dall’alto”) e il semplice finanziamento di “beneficiari”, piuttosto che su azioni volte ad incentivare gli operatori locali, i “promotori di progetto”, ad acquisire le competenze necessarie per diventare “operatori-fautori” del futuro del territorio.
È pertanto necessario riconsiderare i fondamenti e gli obiettivi di queste politiche e passare da una logica incentrata sulla crescita ad una logica di sviluppo locale sostenibile, considerando la dimensione ambientale, economica, sociale e culturale dei territori rurali. Questa nuova concezione dello sviluppo rurale ha portato all’introduzione di impostazioni innovative delle quali LEADER rappresenta una delle sperimentazioni più riuscite.
Pubblicata nel 1988, la Comunicazione della Commissione europea “Il futuro del mondo rurale” (COM(88) 501 def.) afferma per la prima volta, con decisione, la necessità di una politica europea di sviluppo rurale. Le zone rurali europee sono estremamente diverse tra loro, sia per quanto
riguarda le specificità dei contesti, sia rispetto alle potenzialità evolutive e all’applicazione delle politiche rurali tradizionali.
Costatando in generale un calo di vitalità più o meno accentuato nei territori rurali, nonché l’esistenza di problemi di isolamento, declino demografico e livelli di reddito generalmente inferiori a quelli delle aree urbane, la Comunicazione operava una distinzione tra tre tipologie di zone con prospettive di sviluppo diverse:
> le regioni rurali situate in prossimità di grandi agglomerati urbani con forti pressioni nel settore immobiliare e fondiario, dove l’agricoltura è stata nettamente modernizzata a scapito dell’ambiente (inquinamento, degrado dei
paesaggi, distruzione delle aree naturali);
> le regioni in fase di “declino rurale” dove si osserva un continuo esodo, nonché l’invecchiamento della popolazione (e, di conseguenza, il degrado
dei servizi) e dove l’agricoltura continua ad incidere in modo sostanziale, nonostante gli svantaggi naturali e strutturali (piccole aziende agricole scarsamente redditizie, abbandono dell’attività agricola);
> le zone particolarmente marginalizzate (come nel caso di numerose zone montane e insulari) in cui il declino rurale e lo spopolamento sono fenomeni ancora più accentuati, dove vi sono ridotte possibilità di diversificazione e dove lo sviluppo di base (infrastrutture) che consente una tale diversificazione si rivela particolarmente oneroso.
“Il futuro del mondo rurale” evidenziava la necessità di sperimentare nuove impostazioni in materia di sviluppo e di suscitare la partecipazione delle comunità rurali nell’individuazione di soluzioni adeguate. L’avvio delle Iniziative comunitarie nella seconda fase di programmazione dei Fondi strutturali della politica europea di coesione economica e sociale (1991-1994) ha permesso di dare inizio ad una sperimentazione su scala reale. Si tratta della prima generazione di LEADER.
1) La politica europea di coesione economica e sociale
Dal 1988 la Commissione europea attua una politica di coesione economica e sociale cosiddetta “integrata”, ossia volta ad utilizzare in modo complementare i “Fondi strutturali” europei rappresentati dal FESR (Fondo europeo
di sviluppo regionale), maggiormente incentrato sulle infrastrutture e lo sviluppo economico; dal FSE (Fondo sociale europeo) che promuove politiche attive per la valorizzazione delle risorse umane; dal FEAOG (Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia), imperniato in modo più specifico sull’ammodernamento dell’agricoltura, l’organizzazione dei mercati agricoli e la promozione delle attività rurali.
Questa politica tende a ridurre progressivamente le disparità socioeconomiche tra le regioni d’Europa. I divari e le disparità di sviluppo, infatti, sono particolarmente sostanziali: nel 1997 (dopo dieci anni di applicazione dei Fondi strutturali), i PIL regionali pro capite nell’Unione europea erano ancora compresi tra il 195% della media comunitaria nel Land di Amburgo (Germania) e il 43% in Epiro (Grecia). Questi dati, tuttavia, non evidenziano le disparità all’interno di una stessa regione tra le aree urbane e le zone rurali; queste ultime hanno redditi inferiori alla media delle regioni e degli Stati cui appartengono.
“Il futuro del mondo rurale” è stato pubblicato in un contesto caratterizzato dall’importanza della Politica agricola comune (PAC). Prima politica veramente “europea”, prevista sin dal 1957 nel Trattato di Roma innanzi tutto per garantire l’autosufficienza alimentare della Comunità economica europea (CEE), essa ha tuttora un peso determinante ed assorbe il 48% del bilancio dell’Unione. Gli strumenti attuati nell’ambito della PAC hanno permesso, non senza difficoltà, di conseguire i risultati attesi: la produzione agricola è stata incrementata in modo considerevole e consente l’approvvigionamento del mercato europeo, nonché massicce esportazioni. Di conseguenza, i prezzi al consumo sono nettamente diminuiti, garantendo una riduzione della spesa alimentare nel bilancio delle famiglie europee.
Questa spettacolare crescita, tuttavia, è dovuta all’uso di metodi agricoli via via più intensivi, non sempre attuati nel rispetto dell’ambiente e concentrati su una parte sempre più ridotta della superficie rurale europea. La fine degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90 hanno segnato una fase di rottura:
> per quanto riguarda l’agricoltura sono apparse sostanziali eccedenze che hanno portato ad un aumento delle riserve pubbliche e delle spese agricole. D’altro canto si è osservato che le politiche di gestione dei mercati, da sole, non sono in grado di fornire una risposta soddisfacente all’agricoltura europea. È necessario considerare anche la realtà economica e sociale delle aziende agricole e la diversificazione della produzione. Nel 1992 la PAC opera quindi un riequilibrio delle politiche di mercato e potenzia le misure sociali e ambientali;
> si prevede inoltre che l’agricoltura fornisca una maggiore occupazione. La necessità di nuovi posti di lavoro correlati al settore agricolo si fa sentire: la trasformazione in loco dei prodotti, l’individuazione di nuove funzioni per l’agricoltura e la creazione di attività in settori non agricoli contribuiscono a questo sforzo;
> i consumatori tendono ad orientarsi maggiormente verso prodotti differenziati e di alta qualità, a cercare un ambiente e un quadro di vita più protetti e valorizzati;
> contemporaneamente, la popolazione locale prende coscienza del valore delle risorse, del know-how, del patrimonio e della qualità di vita dei territori rurali.
Il miglioramento del quadro di vita, mediante l’introduzione di servizi adeguati, consente inoltre di garantire un reddito a quanti intendono
rimanere in queste zone e, in un numero crescente di territori rurali, a quanti hanno intenzione di trasferirvisi.
La PAC deve considerare in misura sempre maggiore queste nuove sfide, mentre la diversità dei territori e dei paesaggi, la ricchezza delle identità locali e la qualità di un ambiente naturale tutelato vengono annoverati tra i principali punti di forza di un “modello agricolo e rurale europeo”. In tale ottica, l’Iniziativa LEADER rappresenta uno strumento privilegiato per sperimentare le nuove opportunità offerte al mondo rurale.
3) Nuovo approccio dell’intervento pubblico a livello locale
Gli anni ‘80 hanno evidenziato i limiti degli approcci “tradizionali” in materia
di sviluppo, approcci fondati su politiche essenzialmente “promosse dall’alto”, “discendenti” (“top-down”), nonché su interventi per lo più settoriali, indistinti e volti ad applicare ovunque il modello “urbano” o quello delle zone più dinamiche. Dal secondo Dopoguerra, pertanto, nel mondo rurale ha prevalso
uno scenario incentrato sull’ammodernamento e sulla diversificazione dell’agricoltura che ha profondamente marcato questi territori. Le difficoltà per applicare in modo uniforme questo modello nelle zone rurali più fragili hanno portato all’introduzione di politiche di assistenza che, in sé, non permettevano di individuare soluzioni durature e dovevano essere necessariamente integrate da altre misure. L’approccio “territoriale”, che si fonda sul coinvolgimento della popolazione e la valorizzazione delle risorse locali, appare progressivamente come una nuova via per creare attività e occupazione nei territori rurali. La Comunità europea ha svolto un ruolo trainante nel favorire una presa di coscienza sul valore di questo nuovo approccio attuando molteplici forme di sperimentazione: Iniziative locali per l’Impiego (ILE), politiche di formazione e sviluppo, Programmi integrati mediterranei (PIM) e interventi integrati di sviluppo.
4) Le Iniziative comunitarie, strumento di sperimentazione
I “Programmi di Iniziativa comunitaria” sono nati con la riforma dei Fondi strutturali europei (1989-1993). Le Iniziative comunitarie, che dispongono di un bilancio complessivo per questo primo periodo pari al 10% (5,8 miliardi di ECU) dei Fondi strutturali, al 9% (12,7 miliardi di ECU) per il periodo di programmazione 1994-1999 e al 5,35% (10,4 miliardi di EUR) per il 2000-2006, presentano una triplice caratteristica:
> vertono su tematiche di interesse comunitario che riguardano la maggior parte degli Stati membri;
> svolgono una funzione di sperimentazione in quanto sono incentrate su ambiti che richiedono nuove soluzioni;
> la sperimentazione promossa nel quadro di tali Iniziative implica necessariamente lo scambio di esperienze, il trasferimento di know-how, la cooperazione e la creazione di reti.
Gradualmente è emerso che lo sviluppo rurale è una tematica fondamentale che richiede sperimentazione e ricerca di soluzioni innovative. Per tale motivoè stata avviata un’Iniziativa specifica: LEADER (“Liaisons Entre Actions de Développement de l’Economie Rurale” - Collegamento tra Azioni di sviluppo dell’Economia rurale).
Cronologicamente, ma anche sul piano metodologico, LEADER ha attraversato tre fasi: LEADER I avvia una nuova impostazione in materia di sviluppo, LEADER II generalizza tale impostazione, LEADER+ tende ad approfondire il metodo con strategie pilota e temi catalizzatori.
Lucido 5 Le tre fasi di LEADER.
Oltre agli obiettivi specifici di ogni fase (LEADER I, LEADER II e LEADER+), l’Iniziativa comunitaria propone un’impostazione in materia di sviluppo rurale basata su alcuni principi:
1)organizzazione - nota come “gruppo di azione locale” (GAL) - di una partnership locale che si avvale di una ristretta équipe tecnica permanente, incaricata di definire (con la partecipazione effettiva dei soggetti locali) ed attuare un piano d’azione;
2)elaborazione e messa in opera, in un determinato numero di territori rurali, di un “piano d’azione locale” che definisce varie linee di intervento per azioni di sviluppo;
3)multisettorialità e ricerca sistematica di collegamenti tra le azioni nel quadro di una strategia globale integrata (da cui l’acronimo L.E.A.D.E.R.: “Liaisons Entre Actions de Développement de l’Economie Rurale” - Collegamento fra azioni di sviluppo dell’economia rurale);
4)cofinanziamento di questi piani d’azione ad opera della Commissione europea, degli Stati membri e/o delle Regioni mediante l’erogazione di una dotazione finanziaria globale e non varie linee di bilancio settoriali;
5)organizzazione in rete dei territori interessati a partire da un “Osservatorio europeo LEADER” (“Osservatorio europeo dei territori rurali” per LEADER+), con sede a Bruxelles e affiancato da Unità nazionali di animazione. L’organizzazione in rete dei territori può assumere diverse forme, in particolare l’attuazione di azioni di cooperazione transnazionale: oltre la metà dei territori beneficiari di LEADER II hanno partecipato complessivamente a circa 400 progetti.
Una volta definiti questi principi generali, gli operatori godono di un ampio margine di manovra per quanto riguarda la definizione del territorio di applicazione (che deve corrispondere ad una certa identità naturale e/o culturale, senza necessariamente conformarsi ai confini amministrativi), la composizione del GAL (che, in linea di massima, deve coinvolgere soggetti pubblici e privati rappresentativi della società locale), l’elaborazione del piano d’azione (che deve obbligatoriamente rientrare in una serie di ambiti ammissibili) e le relative modalità attuative. Questa flessibilità ha permesso di individuare molteplici soluzioni: valorizzazione delle identità territoriali, creazione di strutture di partnership e di gestione locale, elaborazione di adeguati metodi di animazione, definizione dei bandi e selezione dei progetti, ecc. In tale ambito vengono intraprese attività collettive e multisettoriali, le risorse inutilizzate vengono valorizzate e sono state promosse o consolidate varie forme di organizzazione locale.
Con LEADER taluni territori rurali in difficoltà cominciano a posizionarsi su mercati in piena evoluzione e acquisiscono, o riconquistano, una competitività nel quadro della globalizzazione. Si noti, per inciso, che il numero di posti di lavoro creati nell’ambito di LEADER I è stato valutato a 25 000 unità e che per quanto riguarda LEADER II è stata ipotizzata una stima di 100 000 nuovi impieghi creati.L’impostazione LEADER è considerata oggi una risposta consona alle esigenze delle zone rurali in difficoltà, ma anche di tutti i territori rurali. Per tale motivo la Commissione europea ha espresso la volontà, per il periodo di programmazione 2000-2006, di rendere ammissibili nell’ambito della futura Iniziativa LEADER+ tutte le zone rurali dell’Unione.
I.19
1) Riavvicinare responsabili degli interventi e potenziali beneficiari
Generalmente si osserva una certa “distanza” tra i responsabili delle politiche di intervento e i beneficiari di queste (gestione centralizzata e verticale, decisioni adottate “lontano dalla realtà sul campo”, ecc.). Tale distanza può limitare l’azione quando l’intervento interessa territori in difficoltà: definizione standardizzata delle esigenze dei territori e dei beneficiari, trattamento dei loro bisogni in base a documenti, senza una conoscenza diretta della situazione “sul campo”, tempi molto lunghi per l’adozione delle decisioni, procedure e scadenze di approvazione difficilmente conciliabili con le esigenze dei promotori di progetto, ecc.
Il programma LEADER si è impegnato a ridurre questa distanza creando un contatto diretto tra i responsabili gestionali e le realtà “sul campo”, cercando di ridurre i cicli del processo decisionale, garantendo un accompagnamento personalizzato dei progetti, soprattutto grazie all’azione in loco di équipe di tecnici che svolgono attività di animazione. Anche se in alcune realtà le operazioni non sono state realizzate secondo questo modello ideale, è stato possibile modulare gli interventi in funzione delle caratteristiche e delle condizioni specifiche di ogni territorio. Questi tentativi hanno avuto il merito di mostrare l’utilità e l’interesse dell’approccio.
2) Creare collegamenti tra operatori, attività, settori e territori
Le politiche “tradizionali” tendevano piuttosto alla segmentazione (settoriale, geografica, per servizi, per categoria di pubblico) degli interventi. Favorendo la concertazione tra amministrazioni, autorità locali, settore privato e mondo associativo all’interno del gruppo di azione locale, LEADER ha tentato di invertire queste tendenze e di favorire l’instaurazione di contatti e collegamenti tra settori di attività, operatori e territori. Il metodo LEADER si rivela ancora più efficace quando queste forme di riavvicinamento e collegamento operano nel modo più complementare possibile.
L’interesse suscitato dal metodo LEADER ha spinto amministrazioni nazionali, regionali, locali e gli stessi gruppi LEADER a trarne spunto per elaborare o consolidare altri interventi nelle zone rurali. Questi principi sono stati ufficialmente ribaditi e affermati nel corso della conferenza europea sullo sviluppo rurale tenutasi a Cork (Irlanda) nel novembre 1996 (si veda l’allegato III). Osservando le politiche attuate negli Stati membri si nota che, per il trasferimento e l’integrazione dei principi di LEADER, vengono utilizzati diversi meccanismi:
> alcuni Paesi hanno reputato l’approccio LEADER consono alle proprie esigenze, ma l’Iniziativa non riguardava la totalità delle zone rurali: i responsabili hanno pertanto cercato di coprire altre zone introducendo, con fondi nazionali, un programma complementare analogo a LEADER. Un esempio a tale proposito è rappresentato dai programmi POMO in Finlandia e dai programmi PRODER attuati in Spagna.
> Un altro tipo di trasferimento si osserva soprattutto in Paesi, come il Portogallo, che non avevano mai attuato, prima dell’introduzione di LEADER, una vera e propria politica di sviluppo rurale; in questo caso sono state create associazioni di sviluppo locale per gestire il programma LEADER e i principi dell’Iniziativa comunitaria sono stati progressivamente applicati alla gestione di altri programmi.
> In altri Paesi è stato attuato in parallelo un programma parzialmente analogo a LEADER che si prefiggeva tuttavia obiettivi diversi. Questa situazione si osserva in Irlanda con il “Local Development Programme” (Programma di sviluppo locale, maggiormente orientato verso le problematiche sociali) e in Scozia con il “Rural Challenge Fund” (Fondo di sviluppo rurale), più incentrato sul sostegno finanziario.
> In Svezia, Belgio e Austria erano già in atto politiche di sviluppo rurale che condividevano con LEADER un orientamento analogo; in questo caso LEADER ha arricchito tali politiche, permettendone il rinnovamento e favorendo l’acquisizione di una nuova dimensione.
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sabato 5 settembre 2009

La città. Stare INSIEME per crescere


La città è lo strumento in certo modo appropriato per superare tutte le possibili crisi cui la storia umana e la civiltà umana vanno sottoposte nel corso dei secoli. (Giorgio La Pira)
Anche questo abbiamo imparato al corso di formazione sociale organizzato da Sua Eccellenza Mario Russotto.
Oggi, come sempre, le nostre città hanno bisogno dell'impegno di ognuno di noi.
Abbiamo deciso di metterci al servizio e di essere propositivi.
Siamo un gruppo di persone che con buona volontà vogliono aiutarsi e aiutare Mussomeli a uscire dal torpore che la pone al margine della Sicilia.

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sabato 15 agosto 2009

Raccolta informazioni per la progettazione del nuovo Progetto Leader

Se vuoi partecipare alla raccolta di informazioni per la progettazione del nuovo Progetto Leader compila il modulo anonimo a questo link: Modulo
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martedì 7 luglio 2009

Invito all'incontro divulgativo sul progetto LEADER

L'Associazione "Giorgio La Pira" di Mussomeli
col patrocinio della Banca di Credito Cooperativo San Giuseppe e la collaborazione della SOAT Mussomeli

Invita all'incontro divulgativo sul Progetto L.E.A.D.E.R.
Venerdì 10 Luglio 2009 ore 18.00
Sala Convegni. Banca di Credito Cooperativo San Giuseppe Mussomeli

Saluti:
Geom. Michele Mingoia
Pres.te BCC San Giuseppe
Ing. Luigi Mancuso
Sindaco di Mussomeli

Introduzione:
Dott. Giovanni Ruvolo
Circolo "Giorgio La Pira" Caltanissetta

L'approccio L.E.A.D.E.R
Dott. Antonio Bufalino
SOAT Caltanissetta

La strategia del GAL "Terre del Nisseno"
Dott. Sergio Scarciotta
Provincia di Caltanissetta - UFFICIO EUROPA


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venerdì 1 maggio 2009

Chi è stato Giorgio La Pira

Nella vita di Giorgio La Pira, spicca l'eccezionale personalità di un uomo ispirato dalla vocazione, votato alla pace e alla fratellanza, che seppe coniugare gli ideali del cattolicesimo con il valore di realizzazioni tangibili.

Nato nel 1904 a Pozzallo (RG), Giorgio La Pira vive un'autentica esperienza di conversione e nel 1926 si trasferisce a Firenze al seguito del professor Betti, per terminare i propri studi in giurisprudenza. Nel 1934 è nominato professore ordinario, e nel 1939 fonda la rivista "Principi" di ispirazione antifascista, che gli vale l'ostilità del regime fino al termine della Seconda Guerra Mondiale.

Con la nascita della Repubblica, La Pira è chiamato a prendere parte all'Assemblea Costituente, ed eletto deputato nel 1948 diviene sottosegretario al Ministero del Lavoro di Fanfani.
Il 6 luglio 1951 la città di Firenze lo sceglie come nuovo sindaco, e qui La Pira mette in opera il suo personalissimo, innovativo programma politico.

Nel 1953 la fabbrica del Pignone, una importantissima realtà industriale nella Firenze postbellica, rischia la chiusura per il disimpegno del proprietario e della destra vicina a Confindustria.
Giorgio La Pira si schiera nella protesta a fianco dei lavoratori e dei sindacati, e convince il presidente dell'ENI Enrico Mattei ad acquistare l'azienda: il Pignone è salvo.

Giorgio La Pira sembra conciliare i suoi ideali cristiani con la politica concreta, dedicandosi senza pregiudizi alla sfera sociale, tradizionalmente appannaggio della sinistra, cercando il dialogo con gli avversari politici. Per questo è considerato come un democristiano atipico, o addirittura viene deriso come un "pesce rosso nell'acquasantiera", ma la sua amministrazione illuminata ottiene importanti risultati, come la costruzione del quartiere popolare dell'Isolotto.

Il progetto di pace universale di La Pira trova attuazioni concrete nel "Convegno dei sindaci di tutto il mondo" organizzato a Firenze nel 1955, nel viaggio del 1959 a Mosca, dove parla davanti al Soviet supremo, nei negoziati pieni di speranze intrapresi per pacificare arabi ed israeliani, per convincere Stati Uniti e Vietnam del Nord all'armistizio.

Il 5 novembre 1977, Giorgio La Pira muore a Firenze e la sua gente lo saluta con affetto e una straordinaria partecipazione che mobilita tutta la città.
Nel 2005 si conclude la prima fase del processo di beatificazione, ma già da tempo La Pira viene ricordato come il "sindaco santo"
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